venerdì 18 gennaio 2013

Introduzione alla fenomenologia della Lingua dei Segni. Excursus sullo sviluppo linguistico del Sordo

Una mattina di quasi un secolo fa il direttore della Scuola specializzata per sordi dello Stato dello Iowa (USA), Long J. Schuyler, dopo aver osservato con attenzione gli alunni proruppe verso un collega con le parole «Finché sulla faccia della Terra vi saranno due persone sorde che si incontrano, i segni continueranno ad essere utilizzati!». Anche nel progresso scientifico e tecnologico d’oggi i sordi continuano a segnare.

Come ai tempi dell’Effeta di Gesù Cristo. Erodono ci ricorda che durante i tempi del faraone Psammetico, circa 4000 anni avanti Cristo, voleva rispondere ad una domanda, più curiosa che sperimentale, vale a dire che lingua avrebbero parlato due bambini (gemelli nella ricerca) se isolati dall’ambiente. I piccoli erano accuditi da una vecchia sordomuta. Ebbene i gemelli comunicavano attraverso “gesti” e con vocalizzi, urla e suoni conosciuti solo da loro.

È elementare che ciascuno di noi si ponga la domanda come sia nata la comunicazione, sia se utilizza la lingua verbale sia se utilizza la lingua visuomanuale. Le ricerche antropologiche ed anatomiche hanno risposto ad alcune domande principali: L’uomo di Neanderthal non era adatto nell’articolare la parola come facciamo noi. Però nessuno dice che non era in grado di parlare. Di certo possedeva un linguaggio per esprimere i bisogni più elementari. A poco a poco i vocalizzi e le urla divennero significati per il suo gruppo. Ancora oggi, sui Pirenei, pastori e mandriani sono abituati a comunicare da una roccia all’altra con fischi indicativi.
(…) i fischi, e le grida, e l’urlo divennero in un’evoluzione sempre più esplicita e diligente fonemizzazione, dunque parola. Il significato nacque “scoprendo” cosa indicava il lessema e ciò dette vita allo sviluppo che coinvolse la corteccia cerebrale.

GESTO SONORO SPONTANEO -> FISCHIO -> VOCALIZZO -> URLO -> GRIDO SONORITÀ INTENZIONALE NELLA FORMA D’EMISSIONE ->  FONEMA -> PAROLA -> PAROLA/PAROLA -> FRASE -> NARRAZIONE

Secondo alcuni psicolinguisti i processi di sviluppo della lingua visuomanuale hanno le stesse tappe della lingua verbale, inoltre è messo in evidenza che la “parola” vocale è figlia del gesto. Ma che cosa è successo alla proto-parola, madre del verbum?

Credo che chi conosce anche la Lingua dei Segni è in grado di sperimentare con maggiore profondità i significati della parola verbale utilizzata nel contesto delle relazioni.

(…) E per questo sono andato lontano, nel tempo della frequenza delle scuole specializzate quando, ragazzo vivace, mi affacciavo a conoscere i “segni” in un Istituto per sordi di Firenze. La nuova esperienza percettiva visuomanuale mi dava l’opportunità di scoprire cose e persone in modo differente rispetto al tempo dell’ascolto, in particolare nella memorizzazione. Vero che siamo solleciti nel tentativo di far parlare il bambino sordo attraverso il canale sonoroverbale, ma non studiamo nel piccolo abbastanza i processi mnemonici. Troppe logopediste sparano lessemi contro una porta sbarrata, gli orecchi chiusi!

Una volta tanto vorrèi che si mettesse fine all’imposizione della lingua verbale (LV) per ricercare una full immersion  visuomanuale. Riconosco che questa proposta getta nel panico i genitori! Tuttavia mi permetto di ricordare una realtà evidente: noi sordi adulti non abbiamo mai scritto o detto una parola contro la lingua verbale. È vero che dobbiamo conoscerla, parlarla se qualcuno riuscirà a districarsi nell’impostazione fonetica. Noi psicolinguisti puntiamo nell’impegno del bambino sordo a raggiungere quella lingua che stimola i processi psicocognitivi. I Relatori che seguiranno vi dimostreranno “come si fa”. Maestra in questo è la scuola di Cossato.

Uno sguardo nel mondo.In Europa e nei Paesi arabi i sordi sono  oltre 600.000 mi ricordava, qualche tempo fa, la nostra Presidente Nazionale, Grand'Uff. Ida Collu. Se facciamo una proporzione prendendo la percentuale italiana, che incide dell’1 per mille sugli abitanti, noi avremmo all’incirca 6 milioni di sordi gravi nel mondo. Tuttavia dobbiamo ricordare che ci sono Paesi la cui % di bambini sordi è molto elevata, oltre il 3 per mille, con punte di 10 per mille. Ai sordi con udito grave va sommata un’alta percentuale con deficit di ascolto, indicati “audiolesi” o “ipoacusici”. Nel mondo dovrebbero esserci 500 000-550 000 soggetti in età scolastica con gravissimi o gravi problemi di udito.

Sono bambini che ho incontrato nel mio andare per il mondo: e tutti segnavano nella lingua dei segni del loro Paese, ovviamente se esposti alla stessa, se gli veniva permesso, oppure si rifugiavano nei “gesti convenzionali”. In Italia i sordi gravi (indicati “sordomuti” di cui la legge 381/1970 art. 1) sono circa 65 mila, ma se sommiamo gli “audiolesi” raggiungiamo 100 mila soggetti con gravità uditiva. Se consideriamo la popolazione anziana o chi, per motivi accidentali ha un deficit uditivo in età adulta, abbiamo quasi 2 milioni e mezzo di potenziali/invisibili sordi nella società. I bambini  con deficit di udito sono circa 10 mila in Italia, tuttavia mi riferisco anche ai bambini che, pur sentendo, non ascoltano in modo intelligibile la parola verbale comunicato loro dagli insegnanti. In tutto il mondo i sordi - con gravi lesioni uditive - sono 6 milioni e mezzo, su circa 6 miliardi di individui. Ricordiamo che i calcoli sono in difetto perché, ritorno a ripetere che in taluni Paesi d’Africa, d’Eurasia e nei paesi dell’ex-URSS la percentuale è del 4-5 per mille. Facciamola breve: 10 milioni di persone “soffrono” nel mondo di irreversibili problemi di udito. Una popolazione che corrisponde al triplo degli abitanti di Roma (!).



Come comunicano tra loro questi abitanti silenziosi? Pochissimi Paesi al mondo hanno accolto ufficialmente (ossia riconoscendola con legge) la Lingua dei Segni. In Europa il Portogallo, la Grecia, la Finlandia, la Danimarca, la Norvegia, la Svezia. Alcuni Paesi ne permettono l’insegnamento nelle scuole dello Stato anche agli studenti udenti che lo richiedono. In Italia abbiamo il paradosso di articoli di legge e commi che affermano che i «comuni singoli o associati possono istituire il servizio di interpretariato per sordi» (cfr. legge 104/92 art. 9). Interpretariato in/di quale  lingua? La proposta del legislatore è indefinita. C’è il paradosso, nel nostro Paese, che una Regione del Meridione, la Basilicata, faccia inserire nel proprio Statuto la tutela e la diffusione della “Lingua dei sordi” nel proprio territorio. Non risulta lo stesso nella Regione Marche, sebbene il servizio di interpretariato, con L.R. 18, fu istituito qui – per volere tenace degli stessi sordi - sin dal 1982!

Senza lingua comune non c’è apprendimentoIl neurolinguista Franco Fabbro in un’importante ricerca (Il cervello bilingue, Astrolabio, Roma) ci permette di approfondire i testi di Noam Chomsky ribadendo che il concetto di lingua è un termine poco chiaro. La lingua va dapprima appresa nel lessico; si sviluppa poi in linguaggio nell’esperienza interrelazionale con gli altri. Le emozioni vissute con la lingua dei segni diventano identità linguistica del proprio Sé, vale a dire coscienza/conoscenza dell’altro che – come te (nel nostro caso  di sordi)  – sperimenta la percezione visuomanuale.

Chiaro che se il bambino sordo non è esposto alla lingua dei segni, il rapporto con la stessa è artefatto e conflittuale. Chi ode è immerso nella lingua, s’apre alla stessa attraverso lo stesso canale uditivo dell’interlocutore. Il piccolo sordo non ha quest’esperienza. Smettiamola di insistere che ci sono potenti protesi acustiche computerizzate o si potrà ricorrere all’impianto cocleare. Molte parole vanno perdute nell’afferenza al cervello. Anche perché noi interpretiamo suoni e rumori riconoscendoli dalla tonalità e dalle vibrazioni, portandoci a riconoscere il fonema percepito. Un esempio elementare: se pronuncio “mamma” non è che, come qualcuno crede, la parola mamma  (mi) arrivi integrale nella mente, è il cervello che la riconosce e  interpreta grazie alla tonalità, alla durata del/dei suono/i e così via. È possibile allenare il cervello all’ascolto? L’audiologia afferma di sì. Ma ci vogliono anni e anni di esercitazioni e, nel frattempo, non possiamo lasciare il bambino senza stimolazioni sensoriali tipicamente visive.

Spesso guardo le mie mani, chiedo loro: siete all’altezza di comunicare le idee e emozioni? Sono certo che hanno questa potenzialità. Allora queste mani diventano risorsa ideando configurazione/i e poi movimenti  che veicolano il messaggio contenuto nel segno. È una forma mentis di interazione che il sordo ha con l’interlocutore e l’ambiente. La stessa domanda la pongo alla bocca o, in genere, all’apparato buccale che crea il suono per originare la parola affinché possa  manifestarsi nelle molteplici tonalità. La bocca non sa darmi certezze sulla mia favella perché – dovete ricordare! – che noi sordi fatichiamo a governare l’emissione della favella che caratterizza voi udenti nel dono d’ascoltare già prima di nascere!

Stokoe e … gli altri (psicolinguisti)La lingua dei segni appartiene con pienezza di diritto alla storia dell’essere umano (…). Oggi, dopo un lungo tempo di contrasti, questa lingua ha nobiltà scientifica d’essere insegnata, utilizzata dai sordi e udenti per ritrovare la dignità e il posto in un mondo saturo di parole sonoroverbali.

Il discorso (o proposta)  si sposta sulla programmazione secondo le tappe di sviluppo linguistico proprio del piccolo sordo seguendo i processi di apprendimento conformi all’età e all’esperienza. I Relatori che seguiranno porteranno l’attenzione proprio sullo strumento fondamentale di questo farsi parola, la mano, ossia la configurazione, l’orientamento/direzione, il movimento, il luogo o l’area segnica. Tutto questo è definito “grammatica della LIS”. Qualche decennio fa degli ignoranti sparlavano sui sordi segnanti paragonandoli alle scimmie. Definizione volgare, ottusa mentalità che ci offende!

La mente del sordoGli ultimi studi (v. R. Pigliacampo, «Percezione e produzione della parola segnica e verbale nel sordo», Convegno AIES, Chianciano Terme 2004) hanno spostato l’attenzione nella mente del bambino sordo, grazie anche all’apporto di alcuni protagonisti. Se al piccolo sordo è insegnata la grammatica della lingua più confacente alle sue necessità percettive sarà in grado d’esprimere le potenzialità intellettive. Sebbene resterà il deficit sensoriale, sarà annullato lo svantaggio della comunicazione e si manifesterà come individuo parlante a tutti gli effetti (D. Bouvet, tr. it. 1986).

Noi segnantiNoi sordi adulti segnanti (e anche i verbali) ci rendiamo conto d’avere una lingua con la quale comunichiamo le nostre emozioni e idee. Non possiamo nascondere tuttavia l’amarezza perché la società di maggioranza non ci aiuta a sufficienza a diffonderla nelle proprie strutture istituzionali o/e nei gruppi organizzati, anche politici. Restiamo estranei (stranieri) nella nostra Patria.

L’idea-forte è l’accoglienza di questa lingua perché sia insegnata a tutti i ragazzi nella scuola. Solo nel confronto internazionale con l’altro avremo (e comprenderemo) la nostra identità linguistica e culturale. Francois Grosjean, che avrebbe dovuto essere presente in questo convegno, ha approfondito il bilinguismo e il biculturalismo dei sordi, aiutandoci a capire quanto fondamentale sia la lingua dei segni per lo sviluppo armonioso del bambino.

Noi non ci siamo ancora accorti delle due forme di memoria: a breve e a lungo termine. Gli oralisti scommettono sul bambino sordo la memoria a breve termine, ma raramente questa scelta permette nel bambino la comprensione concettuale perché è tutto preso nella labiolettura. Perché i processi mnemonici, come abbiamo individuato nelle nostre ricerche (R. Pigliacampo,1991) accedano alla memoria a lungo termine, devono essere immagazzinati attraverso il sollecito emozionale, quel  piacere di percepire, nell’empatia di contatti con l’insegnate e soprattutto i coetanei. Se non c’è  questo processo empatico non ci sarà l’accesso alla memoria a lungo termine. Scrittori e poeti vivono di ricordi, di “lunga memoria” pregna di emozioni-passioni-amori-rabbia (…).

L’albero di rami senza ventoQualche tempo fa ho avuto il dono di un sogno poetico, una poesia che avevo a lungo dentro di me. Poesia visiva. Io stesso non riuscivo ad interpretare la metafora. Avevo la visione d’un albero sofferente, ma vivo e tenace nei suoi rami. L’albero era privato, alla mia osservazione, di qualcosa. Forse mancava ciò che sentivo scompigliarmi i capelli. Non riuscivo a collegarmi, ad avere un riferimento intecomunicativo con l’albero. Per tre notti ho riflettuto sul mio albero. Finché arrivai alla risposta. Sì, il mio era un albero muto, io non riuscivo a interrelazionale con esso perché non mi immedesimavo coi suoi rami e con le sue foglie. Oh adesso capivo ch’era  un albero di rami senza vento! Per entrare nell’insieme della comunicazione dovevo creare i movimenti delle foglie, dei rami e solo così avrei percepito il tutto!

Cari insegnanti, è una metafora esplicita: e perché voi possiate percepire e stimolare il piccolo sordo all’apprendimento e alla comprensione dell’ambiente (anche al sonoro celato) dovrete sposarne la percezione.

Nel corso della vita nel Silenzio ho cercato di penetrare la parola vocale restando spesso deluso perché mi obbligava a far miei i fondamenti sonoro-verbali che non potevo avere perché  la comunità di maggioranza e tutti i bambini sono educati e addestrati a sentire. E io non potevo appartenere a quelle modalità estranee alla mia esperienza. Ho cercato allora di entrare nella parola “vedendola” ed ho stimolato in me i processi d’apprendimento senza uguali. Grazie alla memoria cinestetica sono andato col mio Silenzio oltre, oltre.

Voi forse intendete privare il bambino sordo dell’esperienza  della lingua visuomanuale che fa delle sue mani lo strumento principale per abbracciare l’orizzonte?!

Queste colline delle mie Marche che da una parte degradano verso il mare e, dall’altra, leggermente s’alzano verso i monti Azzurri, cantati dal Genio di Recanati, Giacomo Leopardi, ci inducono a riflettere che possiamo farcela a venire fuori dal Labirinto dell’ignoranza con cui, spessissimo, abbiamo trattato o trattiamo il bambino sordo. 

Non stravolgiamo la natura. Il bambino sordo è così ricco che fa sorridere gli archi del cielo!  Per questo, tutt’insieme, ingegniamoci a studiare e a capire questa lingua che ci dà il Messaggio per congiungere gli uomini  in un abbraccio d’amore!

Renato Pigliacampo (*) - 003LC - 2013

(*) Relazione tenuta al Convegno Nazionale “Lingua dei segni (Italiana): didattica e proposte programmatiche per favorirne la diffusione per l’integrazione del sordo”, da Renato Pigliacampo, già psicologo dirigente all’ASUR Marche, docente a contratto di Teorie dei Linguaggi e Psicopatologia del minorato sensoriale nell’ Università degli Studi di Macerata.

PER SAPERE DI PIU'
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«Bisogna avere il coraggio di amare il Silenzio, scritto con la S maiuscola, perché dietro, tout-court,  c’è tutto un mondo di persone “meravigliosamente speciali”, vale a dire bambini e adulti che non possono udire intelligibilmente la parola tramite la percezione acustica. Nel corso dei secoli, a seconda dei momenti, sono stati indicati: sordomuti, sordi, sordastri, non udenti, maleudenti, anacusici, ipoacusici, audiolesi, deboli d’udito, duri d’orecchio, cofotici. Io li chiamo semplicemente persone del Silenzio, miei fratelli: e so che,  pronunciandone il nome, mi attribuisco il merito di far parte di quel mondo migliore, che procede con una marcia in più.» (Renato Pigliacampo da Pensieri e riflessioni sul Silenzio)
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"Storia dei Sordi. Di Tutto e di Tutti circa il mondo della Sordità", ideato, fondato e diretto da Franco Zatini