Suor Licia, un secolo d’amore e silenzio. Giulianova, una grande festa per i 100 anni della sorella del Gualandi, da 75 è nella Piccola missione per i sordomuti.
Le parole non si sentono, eppure non c’è silenzio. Ci sono mani che si stringono, abbracci, accenni verbali a pensieri. Persone che si incontrano dopo anni in quella stessa scuola che ha insegnato loro a comunicare. Tra loro c’è suor Licia, è lei il motivo di questa festa silenziosa eppure tanto vivace.
Le parole non si sentono, eppure non c’è silenzio. Ci sono mani che si stringono, abbracci, accenni verbali a pensieri. Persone che si incontrano dopo anni in quella stessa scuola che ha insegnato loro a comunicare. Tra loro c’è suor Licia, è lei il motivo di questa festa silenziosa eppure tanto vivace.
Licia Mezzetti è una suorina piccola piccola, che oggi riposa dinoccolata in una carrozzina. Non ha forza per esprimersi, ma con lo sguardo segue, intorno, la festa che centinaia di persone hanno preparato per lei.
Ha compiuto 100 anni suor Licia. Di questi, 75 sono stati donati al servizio per la Piccola missione per i sordomuti. E chi la conosce bene racconta che anche lei è affetta dalla nascita da quella stessa disabilità per la quale è stata messa a servizio degli altri, nell’istituto Gualandi.
Per lei, ieri, è stata organizzata una celebrazione seguita da una festicciola nell’enorme istituto di Giulianova. Nella cappella del Gualandi la suorina è stata la prima ad arrivare, emozionata. In prima fila, con altre consorelle, ha aspettato che la folla riempisse lo spazio sacro, prima dell’arrivo del vescovo di Teramo Monsignor Michele Seccia, tradotto simultaneamente nella celebrazione.
Non parla suor Licia, non ha mai parlato. Né sentito. Ha imparato però ad esprimersi, a comunicare attraverso lo stesso metodo che le suore dell’istituto (la cui casa madre è a Bologna), hanno insegnato ai loro allievi.
Quella di ieri è stata una folla silenziosa. Abbracci, lacrime e ricordi espressi attraverso i gesti e qualche sibilo di voce, insegnano che si può persino cantare senza parlare, se col cuore. Le dieci suore che reggono l’istituto, alle cinque di ieri pomeriggio erano anche loro emozionate. Qualcuna ha vissuto a lungo con suor Licia, altre sono arrivate da poco. Tutte hanno il dono di saper parlare ai sordi, di comunicare talvolta anche più emozioni di quante ne contenga una semplice parola.
Monsignor Seccia si è affacciato nella cappella gremita alle 17 e 30 in punto per celebrare la messa. È stato accolto dal loro canto senza musica, e da mani alzate al cielo in segno di saluto al posto di un applauso. Ci sono anche i nipotidi suor Licia Ettore Mezzetti, Viviana Bruschi e Mauro Vialardi.
Tutti quei fedeli erano ex alunni dell’istituto, che sino agli anni ’90 ha ospitato la scuola per sordomuti. Giovani e meno giovani che con la suorina di Montefiascone sono cresciuti. È stata lei a fare loro da mamma, da nonna, da confidente e da guida nel percorso di studi. È stata lei a insegnare loro a capire le parole con quel “metodo orale”, così si chiama in gergo, tanto utile per chi non può sentire.
Montefiascone, sì, suor Licia è nata nel 1913 in provincia di Viterbo. Nella sua regione ha studiato, e nella sua regione ha scoperto la vocazione che l’ha portata, nel 1938, a prestare la sua opera nella Piccola missione per i sordomuti. Da qui l’arrivo in Abruzzo, e quell’opera che non ha mai più abbandonato: il servizio per gli altri offerto con la generosità.
C’è chi nell’istituto la definisce «un’altra Madre Teresa di Calcutta», per come è piccola, per come è buona, per come è sempre stata saggia. Chi la conosce bene racconta che sino a una decina d’anni fa Licia era lucida e vispa. Oggi qualche acciacco frena quella vitalità di sempre. Eppure suor Lica non smette di guardare con amore e con passione tutto quello che succede intorno. È per questo che, quando il vice sindaco di Giulianova Gabriele Filipponi si avvicina per consegnarle la targa della città e per ringraziarla della sua opera a servizio del prossimo, dal viso di suor Licia scende una lacrima che subito si apre a un sorriso, come a dire quel «Grazie», che non riesce a pronunciare.
Terminata la cerimonia, c’è in suo onore un buon rinfresco, ancora una volta festoso ma silenzioso, pieno dell’energia di chi comunica e si vuol bene con gli occhi, con i gesti, con i simboli e con un affascinante linguaggio in codice; lo stesso utilizzato da suor Licia, in questo suo secolo di amore e di silenzio.
Paola Toro. Fonte: ilcentro.geocal.it (segnalato da P.Vincenzo Di Blasio) - 2 ottobre
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