lunedì 4 novembre 2013

«La Famiglia del R. Istituto Nazionale pei Sordomuti in Milano».

La Storia deve essere tramandata ai posteri, e nella Biblioteca "Benefica Cardano" di Milano ho trovato un altro libro che contiene un tesoro storiografico, «La Famiglia del R. Istituto Nazionale dei Sordomuti di Milano», stampato nel 1900 dalla Tipografia milanese S. Giuseppe, il cui titolo mi ha  incuriosito, e dopo averlo letto con interesse, credo che debba essere conosciuto non solo dagli storiografi, ma pure da chi vuole conoscere il percorso sociale da cui sono transitati i nostri avi, per arrivare a noi contemporanei e alla tappa essenziale del Terzo Millennio.

L'autore non è indicato accanto al titolo di copertina, ma Giovan Battista Ceroni, al tempo direttore amministrativo del Regio Istituto, nel preambolo introduttivo a quel libro dichiara di essere stato incaricato a scrivere una Relazione intorno all'ordinamento generale e alla disciplina educativa, sull'igiene e sulla economia di quel Convitto,  «… per la prossima Esposizione universale di Parigi», seconda kermesse del genere dopo quella di Londra 1851, e colta dalla Francia come una sfida per superare il grande successo della precedente esposizione londinese. A quel tempo i  sordi subivano le imposizioni di quanto aveva stabilito il Congresso di Milano nel 1880.

Il Ceroni, nella "Introduzione", da pag. 5 a pag. 10, narra che il R. Istituto di Milano ebbe origine dalla scuola privata creata dal cittadino francese Antonio Eyraud da Lione il quale nel 1805, sotto il dominio francese in Italia, aveva aperto a Milano la prima scuola per sordomuti, di cui dal 1805 al 1837 fu primo direttore Giuseppe Bagutti (1776-1837), e dove quella scuola era «… palestra di utili studi e stimolo ad opere sempre migliori e più elette, onde in realità si traducano un giorno le belle  idealità che la mente umana, anelante alla perfezione, sa e ama raffigurarsi». parole che oggi sarebbero ritenute scultoree, più che pratiche.

Il libro riporta poi i nomi dei membri facenti parte del Consiglio Direttivo dal 1861 al 1898, e la presentazione dei presidenti di quei Consigli, il primo fu il Senatore Alessandro Porro (1814-1879). Sono poi indicati i nomi degli allievi e delle allieve sordomuti, sistemati in aree distinte, "alunni paganti l'intera dozzina", o la "mezza retta", e quelli " alunnati di grazia" come  «…giusta l'art. 3° dello Statuto organico in vigore», chissà cosa recitava quello Statuto, ma gli allievi ospitati provenivano un po' da tutta Italia, da Milano e da Alessandria, da Bergamo e da Brescia, ma anche da Palermo, Catania, Macerata e altrove, e il Ministero dell'Istruzione, con un attestato del 1892, dichiarava espressamente che «Quando una istituzione sa per lungo volgere di anni rendersi benemerita del pubblico in modo insigne e superiore a qualunque elogio, diventa per il Governo un dovere altamente gradito il dare ad essa un attestato di soddisfazione ed un incoraggiamento a perseverare», perorando la causa di quell'Istituzione, e fare visita all'Istituto erano personaggi insigni, ministri, prelati e deputati, pure la Regina Margherita di Savoia che ha lodato il profitto degli alunni e approvato "… le fatiche degli educatori".

Nella sua Relazione, l'autore indica pure gli orari del "compartimento maschile" e di quello femminile (Levata, Messa, Colazione, Scuola, Pranzo, Ricreazione, Studio, Arti, Cena, di nuovo Studio, poi Preci, indi Riposo), quindi  è descritto il vitto "frugale, ma sano", l'opera degli istitutori,  incentrata sullo slogan: "Educare è amare", mentre per l'istruzione religiosa e le pratiche di culto, spesso interveniva  il Preposto Parroco di  S. Vincenzo in Prato, essendo la pieve di sua cura pastorale, e  la scuola d'arte "sentiva il bisogno di nuove arti,  quelle portate dai tempi nuovi". La ginnastica era ritenuta "elemento prezioso  di vita attiva, fonte di salute e di svago", mentre per l'igiene e la pulizia, "... l'Istituzione vuole che  ne abbiano assidua cura", per cui gli inservienti erano "cooperatori nella assistenza dei sordomuti" e per le vacanze, essendo quella un'istituzione nazionale, chi rimaneva in collegio nei mesi di luglio e agosto, era condotto a villeggiare in luoghi ameni e di aria salubre.

Nell'ultimo capitolo, da pagina 70 a 112, il redattore Ceroni, prendendo a prestito un passo dell'Inferno dantesco (col pane, aspetta luce d'idea gentil, sopra il suo duolo) per indicare lo strazio dei genitori al momento di affidare il figlio sordomuto alle Scuole perché sia istruito ed educato,  e quella Scuola "… deve propriamente istruire, come il Convitto propriamente educare…", pertanto quel collegio "…è un piccolo mondo, con le lotte nel giuoco, le discussioni animate…", dove la convivenza di tanti giovinetti di diverse città e differenti fra loro per indole, per ingegno, per condizione di famiglia, per abitudini, e quindi "… la soluzione dei problemi pratici umani è buona se cammina di pari passo con la pratica…", e il direttore Ceroni ritiene essenziale che i suoi Istitutori siano in grado di vigilare gli alunni loro affidati, curando in particolar modo quanto riguarda la educazione morale e fisica di essi, ritenendo che "…l'istruzione scolastica non è perfetta, se non miri direttamente ad educare la volontà, a disciplinarla, a ben ordinarla…", e il capitolo, anzi la Relazione, si conclude con la convinzione del relatore che il lavoro, in particolare nel Regio Istituto, non è per alcun uomo, una singolare virtù, né un  generoso atto di eroismo, ma un dovere dove si suda e si affatica ogni giorno, ma nell'alto compiacimento che, educando gli altri, si migliora anche se stessi, e che il bene fatto ai giovani, resterà come perenne virtù.

Che dire oggi?  Quelli erano altri tempi, ma hanno lasciato un'eredità molto cospicua, da non disperdere.
Recensione di Marco Luè - re169 - 4 novembre 2013

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