Le versioni sul loro primo incontro sono diverse e cambiano soprattutto a seconda se a raccontare sia suo padre o sua madre. In una di queste – ed è la versione di lei – una ragazza camminava a testa bassa e con le spalle contratte quando aveva visto un ragazzo sul parapetto di ponte Sisto a Trastevere. Pur essendo un bravo nuotatore, l’impatto con l’acqua lo avrebbe quanto meno paralizzato.
Era riuscita a calmarlo, poi avevano passeggiato; quindi si erano ubriacati e poi erano finiti in un albergo. All’alba lei si era rivestita ed era tornata al convitto senza svegliarlo. Uscendo da scuola, il giorno dopo, lo aveva trovato appoggiato ad una macchina ad aspettarla, “e in quel momento aveva capito di essere spacciata”. Quando da bambina le raccontava questa storia, sua madre diceva che lui era riuscito a trovarla perché era qualcosa di simile ad un mago. Poi, quando lei è cresciuta, ha cominciato a far notare a sua madre che era abbastanza facile individuare la scuola dove studiava, perché era sorda e a Roma quella era allora l’unica scuola per quelle come lei. È evidente che sua madre ha sempre voluto credere in quella magia, così come anche dopo il loro divorzio non si è mai pentita di averlo salvato quel giorno sul ponte: “Lui era sordo, lei pure, e la loro relazione avrebbe avuto qualcosa di più intimo e profondo dell’amore”. Secondo un’altra versione, lui aveva salvato lei – che allora aveva vent’anni e un sorriso sfacciato, viveva in un convitto ma spesso dormiva per strada e faceva lavoretti per arrotondare i soldi che i genitori le mandavano dall’America – dall’aggressione di un paio di brutti ceffi davanti alla stazione di Trastevere dove si era fermato a comprare le sigarette; poi l’aveva portata a casa sua, dove viveva ancora con i suoi genitori. Dopo il divorzio nel 1990, i suoi genitori si sono visti poche volte, dice, “ma ognuno dei due fa partire la storia dicendo che ha salvato la vita dell’altro”…
Era riuscita a calmarlo, poi avevano passeggiato; quindi si erano ubriacati e poi erano finiti in un albergo. All’alba lei si era rivestita ed era tornata al convitto senza svegliarlo. Uscendo da scuola, il giorno dopo, lo aveva trovato appoggiato ad una macchina ad aspettarla, “e in quel momento aveva capito di essere spacciata”. Quando da bambina le raccontava questa storia, sua madre diceva che lui era riuscito a trovarla perché era qualcosa di simile ad un mago. Poi, quando lei è cresciuta, ha cominciato a far notare a sua madre che era abbastanza facile individuare la scuola dove studiava, perché era sorda e a Roma quella era allora l’unica scuola per quelle come lei. È evidente che sua madre ha sempre voluto credere in quella magia, così come anche dopo il loro divorzio non si è mai pentita di averlo salvato quel giorno sul ponte: “Lui era sordo, lei pure, e la loro relazione avrebbe avuto qualcosa di più intimo e profondo dell’amore”. Secondo un’altra versione, lui aveva salvato lei – che allora aveva vent’anni e un sorriso sfacciato, viveva in un convitto ma spesso dormiva per strada e faceva lavoretti per arrotondare i soldi che i genitori le mandavano dall’America – dall’aggressione di un paio di brutti ceffi davanti alla stazione di Trastevere dove si era fermato a comprare le sigarette; poi l’aveva portata a casa sua, dove viveva ancora con i suoi genitori. Dopo il divorzio nel 1990, i suoi genitori si sono visti poche volte, dice, “ma ognuno dei due fa partire la storia dicendo che ha salvato la vita dell’altro”…
A Claudia Durastanti – traduttrice e scrittrice nata a Brooklyn nel 1984, tornata in Italia a sei anni e attualmente stabilitasi a Londra – la definizione di memoir per quello che è considerato il suo miglior romanzo (è autrice di racconti e di tre romanzi che hanno meritato prestigiosi premi, a cominciare da quello d’esordio Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra del 2010, vincitore del Premio Mondello Giovani) non piace molto. In effetti questo è un romanzo di difficile definizione, a cominciare dalla struttura frammentata di un racconto non lineare, non modulato secondo una cronologia ma raccolto intorno a sezioni, a capitoli che si chiamano Famiglia, Viaggi, Salute, Lavoro & Denaro, Amore, Di che segno sei, come le parti fondanti di un libro chiamato Vita, o anche come gli aspetti della vita così come possono essere illustrati e concepiti in un oroscopo. Questo racconto parla di migrazioni, di andate e di ritorni, di vite dei membri di una famiglia, quella dell’io narrante; ma parla anche di classe, di denaro, di povertà, di sociale. Ed è così che un romanzo – inevitabilmente definito memoir familiare perché sostanzialmente lo è, così come univoca e corretta è l’evocazione di un “lessico famigliare” – che è una specie di autobiografia romanzata, che racconta una storia “privata” dedicata e incentrata sulla figura della madre, è capace allo stesso tempo di diventare altro. Claudia Durastanti ha detto molto di questo suo romanzo, e sempre ha aggiunto un tassello prezioso, utile a comprenderlo meglio. Ha detto, per esempio, che si tratta di “una dissimulazione che può generare libertà”. Perché la straniera del titolo è sua madre – il romanzo è un omaggio a lei – che, arrivata negli Stati Uniti, prima che sorda è stata “categorizzata” come proveniente da un altro Paese e questo l’ha fatta sentire emancipata, libera; come dire che muti e stranieri si assomigliano nel possedere una lingua diversa, percepita allo stesso modo come “straniera” nel paese in cui sono andati a vivere. Altrove però la Durastanti ha aggiunto, “volevo che il libro fosse intersezionale nella forma e nei temi, che contenesse diversi tipi di soggettività. Questo perché vorrei che venisse letto da persone che si posizionano in maniera diversa a livello di genere, esperienza geografica e lettura del mondo rispetto a me”. E poi aggiunge che “i libri sono l’espressione di una cultura che non è solo della tua famiglia ma anche e soprattutto del sistema che la circonda”. È per questo, probabilmente, che il tono di questo racconto non è mai melodrammatico, sommesso, sentimentale o lacrimevole ma semplicemente drammatico in quanto vero, reale. Il linguaggio è vivido, lo stile scorrevole ma ricercato e personale. Considerati tutti questi aspetti, si può dire che Furio Colombo abbia fotografato bene La straniera attraverso le motivazioni con le quali lo ha proposto al Premio Strega, dove è giunto nella cinquina finale: “Il romanzo merita attenzione per tre aspetti del tutto insoliti. Il primo aspetto è certamente il linguaggio […]. Una seconda ragione è la storia […]. Infine merita attenzione il talento espressivo (che non è il linguaggio, ma la costruzione del racconto) che rende La straniera non una raccolta di memorie, ma il punto in cui nasce una storia nuova”. Potremmo, infine, chiederci se in qualche modo la straniera possa essere l’autrice stessa, che nella sua vita si è spostata di continuo, come alla ricerca di un luogo proprio, pur sentendosi, alla fine, a casa ovunque: “Io credo che ognuno di noi finisce con il vivere in una patria immaginata che è la sovrapposizione di più posti in cui siamo stati, e in cui continuiamo a lasciare ologrammi di noi stessi, e questo vale anche se non ci si è mai spostati dal proprio paese”. Non a caso – a proposito del fatto di sentirsi più o meno stranieri - riguardo la lingua ha detto a chi le ha chiesto a che paese sente di appartenere: “Banalmente io credo che siamo la lingua che abbiamo parlato dall’infanzia all’adolescenza e quella che abbiamo studiato a scuola, la lingua dei primi romanzi letti, delle prime fiabe”, e che quelle lingua in qualche modo si vendica “a distanza”, perché da quando vive a Londra le sembra di aver accentuato l’accento romanesco e il ricorso al dialetto lucano. Un libro particolare, per molti versi intrigante, La straniera, capace di “Far dimenticare che è una vita specifica, affinché diventi una storia pura”. Ecco, questo è un libro per lettori avidi di storie pure.
Alessandra Farinola. Fonte: mangialibri.com
«La storia è testimonio dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita» (Cicerone)
«La storia non è utile perché in essa si legge il passato, ma perché vi si legge l’avvenire» (M.D’Azeglio)
«Bisogna ricordare il “passato” per costruire bene il “futuro”» (V.Ieralla)
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"Storia dei Sordi. Di Tutto e di Tutti circa il mondo della Sordità", ideato, fondato e diretto da Franco Zatini