venerdì 3 marzo 2017

Con la Lingua dei Segni nelle stanze di Aldrovandi

Marinela Haxhiraj, sorda dalla nascita, arrivò in Italia con un viaggio della speranza Ora ha pubblicato con Bup una monografia sul celebre naturalista.
L'interesse per Ulisse Aldrovandi è iniziato guidando con il linguaggio dei segni italiani nelle sale dei musei di Palazzo Poggi il pubblico non udente. «Era un'immensa soddisfazione vedere le espressioni dei visitatori che finalmente si sentivano al pari di tutti gli altri ».
All'epoca Marinela Haxhiraj, arrivata in Italia a sei anni d'età dall'Albania, studiava all'Alma Mater e lavorava come illustratrice e traduttrice. Era sbarcata 15 anni prima a Bari, «con un traghetto regolare, però, non da clandestina», assieme al padre. L'Italia poteva offrire a una bambina sorda dalla nascita cure e un sostegno didattico adeguato. Solo dopo sette anni, con l'arrivo della mamma e del fratello, la famiglia si è ricongiunta. A quello che chiama «il destino», Marinela ha aggiunto una volontà di ferro, una grande passione, e molto talento. S'è iscritta a Lettere a Bologna, è stata allieva di Marinella Pigozzi, docente di storia della critica d'arte e museologia. E infine i materiali riuniti per le due tesi di laurea, triennale e specialistica, sono confluiti in un volume da poco edito da Bononia University Press, "Ulisse Aldrovandi. Il museografo".


La bibliografia esistente sull'affascinante figura dell'erudito naturalista cinquecentesco, primo docente di scienze naturali allo Studio di Bologna e collezionista enciclopedico - nel 2005 i quattro secoli dalla sua morte -, è molto ampia. Ma questo libro, che Marinela Haxhiraj ha dedicato ai suoi due bambini, anch'essi sordi, ha caratteri fuori dall'ordinario. Sovrapponendo alle immagini aeree di Google Earth il disegno della Pianta prospettica della città redatta nel 1575 per la Sala Bologna dei Palazzi Vaticani, Haxhiraj ha stabilito la pianta dell'appartamento nella via del Vivaro, oggi via dei Pepoli, in cui Aldrovandi sistemò il suo museo biblioteca, aprendolo al "pubblico" nel 1566. La pianta dell'appartamento l'ha dedotta dalle descrizioni dei visitatori dell'epoca. E l'ha anche disegnata. Ha dato inoltre definitiva attribuzione alle tavole acquerellate dei pittori Jacopo Ligozzi, del fratello Francesco e del cugino Francesco di Mercurio, già oggetto di polemiche e controversie. Ne ha scoperto le firme là dove nessuno le aveva mai scorte. E «Forse è stato grazie alla mia vista potenziata dalla mancanza di udito », spiega. Ma quel che è più importante, è che ha restituito unitarietà alla figura, al pensiero e all'opera di Aldrovandi, ricollocando ogni testimonianza nella stanza, sulla parete, nelle scansie predisposte dal naturalista. Diciottomila cose diverse, tante ne elencava Aldrovandi nel 1595, e tra esse ne scelse cinquemila, le fece riprodurre su matrici di legno di pero, poi stampare e infine riporre in 15 armadi, detti Pinacoteche. Di questo "microcosmo di natura" spostato dopo la morte di Aldrovandi nel Palazzo Pubblico di Piazza Maggiore, dimenticato, disperso, e da ultimo riportato a Palazzo Poggi, rimane una piccola parte, la stessa esposta nel Museo Aldrovandiano al piano nobile di via Zamboni 33. Secondo Jean Clair, uno dei musei che vale davvero la pena visitare in Italia.

Nella bella storia di Marinela Haxhirai il finale si colloca al Mambo. Da circa un anno lavora nella biblioteca di via don Minzoni: «Mi ritrovo qui al Mambo a contatto con le persone, studiosi, critici, pittori… e molto spesso mi dimentico di essere sorda, parlo con loro e mi capiscono pure, altrimenti scrivo su un taccuino e cerco di capire quello che mi dicono con la lettura labiale». Insomma, «è il mestiere che ho sempre sognato, in mezzo all'arte e ai libri simultaneamente».
Brunella Torresin. Fonte: larepubblica.it

PER SAPERE DI PIU'
Ulisse Aldrovandi


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