Ricorre questa domenica, 25 settembre, la Giornata mondiale del sordo. In Italia, sono numerose le iniziative organizzate per richiamare l’attenzione sulla condizione della comunità sorda e per sensibilizzare l’opinione pubblica, chiedendo una reale inclusione sociale. La frase simbolo di quest’anno è “Con la lingua dei segni, io sono uguale”. Sull'incidenza di questa patologia Maria Carnevali ha sentito il prof. Gaetano Paludetti, direttore dell’Istituto di Otorinolaringoiatra dell’Università Cattolica del Sacro Cuore:
R. – Percentuali precise non ve ne sono; si sa però che è una delle patologie più frequenti, soprattutto in età anziana, oltre i 65-70 anni. Quelli che invece sono conosciuti sono i dati delle sordità infantili e si sa che un bambino su circa 2.000 nati è affetto da problemi di udito importanti. Questa percentuale aumenta molto nei bambini a rischio, cioè che hanno avuto problemi alla nascita e quindi lì si può arrivare anche a un bambino su 800-1.000 di quelli che hanno problemi di rischio neonatale.
D. – Come la ricerca affronta il tema della sordità?
R. – La ricerca fa molto, in questo campo; il problema vero è poi portare le soluzioni dalla ricerca all’uomo. Quindi è molto attiva una ricerca di base in campo biologico, in campo sperimentale; poi, le applicazioni sull’umano diventano un pochino più complesse. Oggi si cerca molto di capire quali siano i meccanismi che portano alla sordità. Per quanto riguarda poi le soluzioni: le soluzioni sono più complesse perché dal punto di vista farmacologico ancora oggi non si è trovato un modo per guarire farmacologicamente il problema della sordità neurosensoriale, quindi quella che riguarda la chiocciola e il nervo acustico, perché sono ovviamente le sordità più profonde. In realtà, la ricerca si è orientata – oltre che sull’aspetto di base, farmacologico – anche sull’aspetto protesico, e lì invece i progressi sono stati enormi, nel senso che si è arrivati a un notevole miglioramento delle qualità degli apparecchi acustici e soprattutto c’è stato negli ultimi 20 anni il grande sviluppo dell’impianto cocleare che ha risolto il problema delle sordità profonde, cioè quelle che praticamente non avrebbero potuto essere migliorate neanche dalle protesi acustiche tradizionali. Quindi, diciamo che l’impianto cocleare e tutto ciò che ad esso è connesso ha avuto uno sviluppo importantissimo dal punto di vista della ricerca.
D. – Quali sono le maggiori difficoltà che una persona affetta da sordità trova nella società?
R. – Faccio sempre un esempio: noi oggi abbiamo una sorta, non dico di pietà, ma di grande comprensione verso coloro che hanno problemi di vista. L’occhiale lo mettono ovviamente tutti, senza problemi e senza ritenersi portatori di un handicap. Molto diverso è l’approccio verso il problema uditivo: isola molto le persone, le rende estranee al loro stesso mondo ed è un grave handicap. Eppure, tutti hanno verso la sordità un atteggiamento diverso. Proporre una protesi acustica è una cosa che molto spesso i pazienti rifiutano. La persona che non sente rimane sola nel suo ambiente, ma oggi c’è anche un filone di ricerca che tende o vuole dimostrare o vuole cercare di capire se una persona, soprattutto un anziano che ha problemi di udito, possa andare più facilmente incontro proprio a problemi neurodegenerativi. Devo dire che credo ci voglia una certa maggiore sensibilizzazione verso le persone che hanno un problema uditivo.
D. – Quali misure potrebbero venire realizzate o sono già state realizzate per sensibilizzare l’opinione pubblica?
R. – Di campagne ce ne sono, ma credo che si debba far capire alle persone che non è vergognoso portare un apparecchio acustico o un dispositivo che consenta alla persona di avere rapporti sociali normali. Ci vogliono anche delle sensibilizzazioni sociali e qualcosa che faccia sì che qualsiasi tipo di handicap sensoriale venga considerato allo stesso modo. Un grande lavoro è stato fatto sulla problematica delle ipoacusie infantili, perché sono ovviamente ancora più gravi: infatti, un bambino che non sente è un bambino che può anche avere difficoltà nell’acquisizione del linguaggio. Quindi: lì è stata fatta una grande azione e devo dire che lì funziona. Un’altra cosa importante – e va detta, questa – è che bisognerebbe cercare in qualche modo di ridurre anche i costi di questi apparecchi perché indubbiamente ancora oggi in Italia i costi delle protesi acustiche e di tutti i dispositivi uditivi sono molto elevati. Andrebbe svolta una qualche azione per renderli più facilmente acquistabili, senza sacrifici economici così importanti.
Fonte: radiovaticana.va
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