Lo schiavo
era considerato come se fosse uno strumento da lavoro parlante perché secondo gli antichi era un
individuo che, privo della sua libertà, apparteneva ad un altro come persona e
come forza-lavoro: poteva, quindi, essere comprato e venduto come un oggetto,
come un attrezzo agricolo, come un animale….
Numerosi
erano gli schiavi nell’Italia dell’antica Roma e corrispondevano a circa un
terzo della popolazione libera.
Il collare
conservato al Museo delle Terme di Diocleziano a Roma è un segno tangibile di
questa terribile condizione di vita: è di ferro con la piastra di bronzo. E’ l’iscrizione
a parlare a colui che dovesse “ritrovare” lo schiavo, come se chi indossa
questa piastra non sia in grado di esprimersi, come se fosse un oggetto, o un
cane che si è perso…
L’iscrizione
invita chi la leggerà a trattenere il fuggiasco e a riportarlo al proprietario,
Zonino, con la promessa della ricompensa di un solido, cioè una moneta d’oro:
“fermami.
non farmi scappare. Restituiscimi al mio padrone”
un oggetto
umiliante, ma per
l’epoca una cosa molto diffusa.
UN BENE
ECONOMICO
Tutta questa
premura a farsi riportare lo “strumento parlante” era dovuta all’“incubo” di
perdere un bene economico di grandissimo valore, un investimento economico ingente
a cui non si voleva rinunciare “perdendolo”. Avere uno schiavo infatti molto
spesso aveva significato impegnare una grande quantità di denaro per il suo
acquisto, soprattutto quando si trattava di uno schiavo grammaticus,
quindi colto, che poteva aver significato il pagamento di molti sesterzi, quasi
come comprare una casa oggi.
E’ così che, soprattutto nelle campagne dove la
vita degli schiavi era più dura, molti dominus erano soliti tenere i
proprio schiavi in un posto sotterraneo (ergastulum) in catene, per
evitare che, col favore della notte, tentassero la fuga.
E sempre da
Catone sappiamo che spesso in catene stavano pure di giorno, mentre svolgevano
determinati lavori sui campi.
UNA RES
VIVENTE
Lo schiavo è
una cosa, una res vivente, uno “strumento o animale parlante” e nella
civiltà dell’antica Roma la condizione dello schiavo rientrava in quella più
generale dipendenza
- che il cittadino romano riservava allo straniero
- che l’uomo applicava alla donna
- che il padre esercitava sui figli.
Dallo
storico Diodoro Siculo veniamo a sapere che una certa Megallide, moglie di
Damofilo, un ricco possidente romano del III secolo a.C., faceva a gara con il
marito nelle punizioni degli schiavi:
“Comperato
un gran numero di schiavili trattava con durezza, marchiando a fuoco i corpi di
questi sventurati che, peraltro, nel loro paese di origine erano stati uomini
liberi e ora erano schiavi perché caduti in prigionia”.
La donna, in
particolare,
“godeva nell’infliggere punizioni
disumane alle sue schiave, nonché agli schiavi che le capitavano a tiro”.
Giovenale,
poi, ricordava la crudeltà delle matrone che, insoddisfatte dei loro coniugi,
si sfogavano con gli schiavi:
“se il
marito si è girato dall’altra parte, è finita per loro!”.
MA COME SI
DIVENTAVA SCHIAVI?
Si diventava
schiavi sostanzialmente per due motivi:
- sconfitta militare: i prigionieri di guerra, caduti in proprietà dello Stato, venivano venduti al miglior offerente;
- indebitamento: chi non poteva pagare i propri debiti diventava proprietà del creditore.
Ma si poteva
diventare schiavi anche a seguito di un naufragio o di una pena che comportasse
la perdita della libertà personale (assassinio, renitenza alla leva, evasione
fiscale), a meno che non si accettasse l’esilio. La gente povera spesso finiva
schiava anche per reati minimi, se non poteva pagare una pena pecuniaria.
Assumevano la condizione di schiavo i bambini che venivano abbandonati (perché
non riconosciuti dal padre) o venduti dalle famiglie povere.
I DIRITTI DI
UNO SCHIAVO
- Lo schiavo, per definizione, non aveva alcun diritto, ma solo responsabilità penali.
- Non poteva possedere cose personali, cioè se poteva comprare qualcosa non poteva però disporre come fosse di sua proprietà. Se aveva moglie e figli, il suo padrone poteva venderli senza nessun problema.
- Lo schiavo restava tale anche se per un evento qualunque cessava di avere un padrone.
- Lo schiavo non poteva sposarsi. Tuttavia, nel corso dell’impero i padroni di schiavi tendevano a permettere a quest’ultimi la possibilità di una stabile vita di coppia.
- Lo schiavo non poteva essere difeso dalla legge o ascoltato in un tribunale.
- Gli schiavi che ritenevano ingiusto il padrone potevano rifugiarsi in Campidoglio ed esporre le proprie ragioni, ma non si ha notizia di padroni puniti. Gli veniva concesso asilo se si rifugiava presso un tempio, ma al massimo poteva passare di proprietà da un padrone a un altro.
- Se un cittadino uccideva lo schiavo di un altro, non incorreva ad una sanzione penale ma solo amministrativa: cioè pagava una sanzione monetaria corrispondente al valore dello schiavo al dominus privato del suo “strumento parlante”. Così come se veniva (per es.) rotto un braccio o una gamba ad uno schiavo, il risarcimento non spettava allo schiavo ma al suo padrone.
- La lex Iulia adulteriiscoercendis aveva stabilito che non poteva esservi adulterio o stupro se non tra persone libere. Molti giovani schiavi venivano usati a scopi sessuali.
Segnalato da P. Vincenzo Di Blasio
PER SAPERE DI PIU'
«La storia è testimonio dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita» (Cicerone)
«La storia non è utile perché in essa si legge il passato, ma perché vi si legge l’avvenire» (M.D’Azeglio)
«Bisogna ricordare il “passato” per costruire bene il “futuro”» (V.Ieralla)
Per qualsiasi segnalazione, rettifica, suggerimento, aggiornamento, inserimento dei nuovi dati o del curriculum vitae e storico nel mondo dei sordi, ecc. con la documentazione comprovata, scrivere a: info@storiadeisordi.it
"Storia dei Sordi. Di Tutto e di Tutti circa il mondo della Sordità", ideato, fondato e diretto da Franco Zatini