Ha acceso un intenso dibattito un mio pezzo sulla LIS, la Lingua Italiana dei Segni. L’ho descritta come un ponte di comunicazione tra gli udenti e i sordi e ho citato la petizione che, diretta ai Presidenti delle Camere e dei gruppi parlamentari e indetta da Radio Kaos ItaLis, vuole sensibilizzare la cittadinanza affinché questa lingua vera e propria possa diventare ufficiale anche nel nostro Paese.
Qui di seguito due interventi contrapposti: quello di Paolo de Luca, presidente dell’APIC, Associazione Portatori Impianti Cocleari (un impianto cocleare è un orecchio artificiale elettronico in grado di ripristinare la percezione uditiva nelle persone con sordità profonda) e della dott.essa Laura D’Eugenio, logopedista.
Ecco la lettera di Paolo de Luca.
La discussione, senza offesa peer nessuno, mi sembra da bar sport, nel senso che manca di approfondimento e ai miei occhi appare come uno spottone o peggio come il rincorrere, per non perdere il trend, qualcosa che al momento è ritenuto imperdibile. La realtà dei sordi in Italia da almeno 30 anni non è più quella del povero sordo emarginato che non è integrato e vive in un mondo a parte. La scuola di tutti, la sanità, la tecnologia, hanno fatto passi da gigante. Lo screening audiologico neonatale, la diagnosi precoce, la rimediazione protesica e gli impianti cocleari hanno reso possibile contrastare la sordità e superare l’handicap invisibile. La legge 104/92 – sicuramente da migliorare (la legge che cancella il termine sordomuto), la legge 68/98 e altre normative hanno reso possibili l’inclusione e le pari opportunità. Detto ciò discriminazioni e mancanze sono all’ordine del giorno e occorre unire le forze per difendere diritti negati e conquistare la vera integrazione che abbia al centro la persona e non privilegi e separazioni.
Penso all’accesso alla comunicazione, alla cultura, con i sottotitoli e i sistemi ormai alla portata di tutti (ai cellulari, internet…) che rendono superflui servizi ponte e tg con la lingua dei segni.
Eppure sembra che ancora oggi c’è chi vede il sordo come muto e incatenato alla LIS. Informarsi, comprendere e fare corretta divulgazione è quanto di buono possa esserci piuttosto che farsi acchiappare dallo slancio emotivo che offre un video dove si chiede il riconoscimento di un linguaggio come se un mondo a parte ci voglia per poter vivere bene.
Paolo de Luca, presidente APIC
Ecco la risposta di Laura D’Eugenio.
L’impianto cocleare è un mezzo straordinario di aiuto per i pazienti sordi gravi e profondi: della efficacia e validità ne ho avuto esperienza per tutta la durata del mio corso di laurea. A Ferrara, dove ho studiato, giungevano persone da ogni parte d’Italia per effettuare l’intervento e tutto l’iter di controllo necessario. E nella maggior parte dei casi i risultati erano ottimali. Sicuramente, perché ciò avvenga, oltre ad essere sottoposti all’intervento è necessario un lungo iter di controlli post-intervento e di riabilitazione. Fondamentale appariva il ruolo dello screening neonatale per un intervento tempestivo (anche intorno all’anno di vita) per ridurre il grado di disabilità portato dal deficit uditivo. Tuttavia, ci è sempre stato ribadito che non sempre questo intervento è indicato e, ad ogni modo, è pur sempre un intervento da eseguire in anestesia totale. Seppur non frequenti, tale intervento comporta delle complicanze, e non sempre ne è garantita l’efficacia. Inoltre è un intervento molto costoso per il sistema sanitario.
Quindi, pur essendo totalmente pro-impianto cocleare, non capisco questo accanimento contro la LIS e a tutto ciò che ne consegue: in primis, il metodo bimodale, che accosta il linguaggio orale e quello mimico- gestuale ha dimostrato di possedere i suoi vantaggi; la cosiddetta comunità dei sordi si ritiene tale alla stregua di minoranze linguistiche o religiose presenti in Italia; la lingua dei segni non è un linguaggio ma una vera e propria lingua, dotata di una propria struttura grammaticale (è stata addirittura utilizzata nelle scimmie in studi sullo sviluppo del linguaggio); è un metodo di comunicazione nei casi in cui la tecnologia non funziona (ricordiamoci che il bambino, nell’acquisizione del linguaggio, utilizza primariamente il gesto che non scompare mai nel corso del tempo!).
“In medio stat virtus”: è necessaria la giusta informazione e la giusta motivazione per l’utilizzo dell’impianto: la strada della riabilitazione è molto lunga! È bene che ci sia una corretta informazione delle conseguenze che tale intervento comporta, senza creare false aspettative. È necessario effettuare una giusta valutazione delle persone adatte all’intervento. Per fortuna esiste il libero arbitrio: non necessariamente solo perché la tecnologia ha fatto dei passi avanti, tutti dobbiamo sceglierla! Io da logopedista lavoro ancora molto con il classico carta e penna… e sono convinta ancora che sia infallibile!
Laura D’Eugenio, logopedista
A cura di Enrico Gerretto - Fonte: caffenews.it
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