Anna fa «sentire» ai sordi le parole del Salone, traduce decine di incontri ed è diventata una star..
«Per i tempi adoro lavorare con Augias. La più difficile da tradurre è Luciana Littizzetto: nel linguaggio dei segni le battute non fanno ridere».
Corruga le sopracciglia quando Ammaniti perde il filo del discorso. E un istante dopo mima il filo ritrovato. Poi la standing ovation, in silenzio. Anna Di Domizio alza le mani svolazzanti per decifrare l'applauso delle 600 persone nella Sala Gialla. Quelli che la guardano non sentono fragore. Sono sordi. Però, qui al Salone, ora possono «sentire». L' incessante tradurre di Anna - gesti rapidissimi che vogliono dire dialoghi serrati, domande e risposte, concetti e battute - è un piccolo capolavoro, che incanta anche chi ci sente benissimo. È una libellula sul palco della Sala Gialla, con quelle mani in movimento perpetuo, una delle quattro traduttrici simultanee in Lis, la Lingua dei segni italiana: «L'anno scorso eravamo due».
Quest'anno sono già il doppio, presenti in 30 eventi da seguire di persona o in diretta streaming, per circa 110 ore di lavoro complessive. «A volte riesce a tradurre anche 5 persone assieme» sottolinea, ammirato, anche il direttore editoriale Nicola Lagioia. È proprio lui che ha voluto gli appuntamenti in Lis. «Un contributo prezioso per la comunità dei sordi, così si rende davvero accessibile la cultura» dice Di Domizio, in una pausa tra l'incontro di Massimo Recalcati e quello di Eduard Limonov. Qualche timore per lo scrittore russo? «Molto dipende da chi lo traduce, ma sono tranquilla, andrò a braccio». L'esperienza l'ha resa serafica: «Sono madrelingua», figlia di genitori sordi. Da bambina accompagnava il papà sarto negli uffici: quando a Torino se ne sono accorti, non l'hanno fatta più tornare a casa in Abruzzo. E così Anna è qui da 31 anni. Sempre a tradurre: «Devo molto agli enti locali», li chiama proprio così. Con Limonov, alla fine, è una passeggiata: «I discorsi scritti non li ha quasi più nessuno». Sembra difficile: «Lo è quando nel discorso ci sono molti incisi e metafore». E poi, il ritmo: «Chi parla veloce, senza un ordine preciso, rende la traduzione più complicata, ma anche l'eccessiva lentezza è un problema rispetto alle regole fonologiche e sintattiche». In questo Salone del Libro, Anna Di Domizio ha tradotto, tra i tanti, anche Massimo Bray, il ministro Franceschini, i presidenti di Camera e Senato, Fico e Casellati, il cantante Vecchioni. Loro si intervallavano, lei no: «parlava» ininterrottamente.
Ci sarà stato un preferito? «Corrado Augias, dizione e pause impeccabili: l'altro giorno a fine intervento mi ha chiesto scusa, premuroso, temeva di avermi affaticato con le tante citazioni... Discuteva di Costituzione. Invece è stata una meraviglia, con tutti quegli esempi: ecco, gli esempi aiutano molto». A metterla in difficoltà, invece, è «Luciana Littizzetto: è velocissima, con tantissime battute, discorsi pieni di nomi, quest'anno l'ha tradotta la mia collega ma l'anno scorso c'ero io, per fortuna era con Maria De Filippi che calmierava i tempi». E poi la gag non sempre rende nel linguaggio dei segni: «Diverse battute tradotte non fanno ridere, e manca il tono della voce, che è fondamentale per comunicare l'ironia». È una lingua a sé, quella dei gesti: «Ad esempio, non si dice: "La pera è caduta dall'albero", ma "albero pera cade"» e così anche il siparietto comico risulta stentato: in compenso ci sono segni che fanno sorridere solo i sordi. Tradurre cultura, dice Anna, «ha un valore speciale per i sordi: li forma, li fa crescere». Decine i post riconoscenti su Facebook, e tanti gli applausi, per lei: silenziosi e fragorosi. (mir. mas.)
Fonte: lastampa.itPER SAPERE DI PIU'
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