Siamo nel 2013, tempo in cui la scuola italiana si barcamena per una didattica per i disabili proposta dai «docenti di sostegno» (notate bene la terminologia), senza che i dirigenti dei ministeri proponenti e/o programmano i corsi di specializzazione indichino, con umiltà e competenza, a quali disabili si riferiscono i loro programmi. Perché dobbiamo dirlo ad alta voce: le difficoltà di approfondire l’incarico professionale dei docenti, faticoso, spesso cozza contro i confusi pastrocchi degli emendamenti e Circolari del MIUR che, alla fine, non rispondono ai Bisogni Educativi Speciali (BES).
Ciò ha indotto qualche docente di «sostegno» di fare di tutta l’erba un fascio. Ecco che i loro direttori scolatici osannano, nei convegni o negli incontri con i colleghi delle Scuole territoriali, che la disabilità è superabile quando non se ne tiene conto (sic!). E’ una sortita per non avere grane giuridiche. Al contrario, la questione è presente perché deve essere il docente, veramente capace, a rimuovere gli ostacoli per mezzo di una programmazione didattica efficace, ricorrendo ad approfondite conoscenze nosologiche e psicologiche per rispondere ai bisogni del suo scolaro meravigliosamente speciale.
Amo così riferirmi al soggetto con problemi di disabilità, portando più attenzione nei confronti del mio simile, il quale sperimenta, come me, il deficit dell’ascolto. A questo punto dobbiamo renderci conto che troppi insegnanti occupano la cattedra del «sostegno» senza avere formazione adeguata nelle discipline pedagogiche, psicologiche e neurologiche in genere! Non parliamo poi di una didattica specializzata per l’istruzione dei sordi proveniente dallo studio e dalla ricerca della peculiarità delle aree mentali che entrano in gioco nel processo di apprendimento.
Poi è fondamentale porre l’attenzione sulla comunicazione fra docente e discente. Insegnare al sordo, senza possedere lo «strumento» di relazione, è come l’istruttore che intende insegnare a nuotare a un bambino con la vasca vuota d’acqua! IL BES pertanto deve essere programmato con gli specialisti della didattica, ovviamente presenti psicologi e psicopedagogisti specializzati, vale a dire professionisti che facciano parte di un’équipe territoriale operante per l’inclusione.
E qui sorge la legittima domanda: che cos’è l’inclusione? La risposta che riteniamo idonea è quella che si prefigge l’obiettivo per il soggetto di confrontarsi con i coetanei nella modalità più appropriata perché manifesti le potenzialità psicointellettive proprie dell’età cronologica. E’ uno sforzo immane del docente specializzato che, così operando, favorisce anche – diciamo pure migliora – i processi di apprendimento degli scolari udenti che sperimentano acquisizioni fondate particolarmente sul canale sonoro acustico. Sono mancanze che talvolta sfuggono ai docenti di cattedra e/o agli psicopedagogisti. Oggi evitiamo di comparare, con un monitoraggio valutativo serio ed efficace, la preparazione didattica raggiunta dallo scolaro con deficit uditivo rispetto il coetaneo udente, dando priorità al sovraccarico di sedute logopediche, giustificandole che, quando il piccolo sarà capace di parlare i codici dei coetanei, sarà «normale», quindi superata la disabilità dell’ascolto!. Trattando il bambino su questa direttiva si considera esclusivamente soggetto da riabilitare, ossia un malato. I genitori sono spesso terrorizzati della disabilità del figlio perché esibiscono la propria normalità percettiva, o quella dei fratelli, o cugini come metro di paragone, finendo di non rendersi conto che il figlio non si adegua agli altri perché non ha risposte ha propri bisogni educativi speciali. E’ la stessa cosa del bambino superdotato quando si annoia in una classe non programmata per la sua dinamica di apprendimento: psicologi e insegnanti esprimono giudizi impropri, piuttosto che analizzare i motivi della svogliatezza, dell’assenza all’attenzione di apprendimento. (…)
Renato Pigliacampo
Ciò ha indotto qualche docente di «sostegno» di fare di tutta l’erba un fascio. Ecco che i loro direttori scolatici osannano, nei convegni o negli incontri con i colleghi delle Scuole territoriali, che la disabilità è superabile quando non se ne tiene conto (sic!). E’ una sortita per non avere grane giuridiche. Al contrario, la questione è presente perché deve essere il docente, veramente capace, a rimuovere gli ostacoli per mezzo di una programmazione didattica efficace, ricorrendo ad approfondite conoscenze nosologiche e psicologiche per rispondere ai bisogni del suo scolaro meravigliosamente speciale.
Amo così riferirmi al soggetto con problemi di disabilità, portando più attenzione nei confronti del mio simile, il quale sperimenta, come me, il deficit dell’ascolto. A questo punto dobbiamo renderci conto che troppi insegnanti occupano la cattedra del «sostegno» senza avere formazione adeguata nelle discipline pedagogiche, psicologiche e neurologiche in genere! Non parliamo poi di una didattica specializzata per l’istruzione dei sordi proveniente dallo studio e dalla ricerca della peculiarità delle aree mentali che entrano in gioco nel processo di apprendimento.
Poi è fondamentale porre l’attenzione sulla comunicazione fra docente e discente. Insegnare al sordo, senza possedere lo «strumento» di relazione, è come l’istruttore che intende insegnare a nuotare a un bambino con la vasca vuota d’acqua! IL BES pertanto deve essere programmato con gli specialisti della didattica, ovviamente presenti psicologi e psicopedagogisti specializzati, vale a dire professionisti che facciano parte di un’équipe territoriale operante per l’inclusione.
E qui sorge la legittima domanda: che cos’è l’inclusione? La risposta che riteniamo idonea è quella che si prefigge l’obiettivo per il soggetto di confrontarsi con i coetanei nella modalità più appropriata perché manifesti le potenzialità psicointellettive proprie dell’età cronologica. E’ uno sforzo immane del docente specializzato che, così operando, favorisce anche – diciamo pure migliora – i processi di apprendimento degli scolari udenti che sperimentano acquisizioni fondate particolarmente sul canale sonoro acustico. Sono mancanze che talvolta sfuggono ai docenti di cattedra e/o agli psicopedagogisti. Oggi evitiamo di comparare, con un monitoraggio valutativo serio ed efficace, la preparazione didattica raggiunta dallo scolaro con deficit uditivo rispetto il coetaneo udente, dando priorità al sovraccarico di sedute logopediche, giustificandole che, quando il piccolo sarà capace di parlare i codici dei coetanei, sarà «normale», quindi superata la disabilità dell’ascolto!. Trattando il bambino su questa direttiva si considera esclusivamente soggetto da riabilitare, ossia un malato. I genitori sono spesso terrorizzati della disabilità del figlio perché esibiscono la propria normalità percettiva, o quella dei fratelli, o cugini come metro di paragone, finendo di non rendersi conto che il figlio non si adegua agli altri perché non ha risposte ha propri bisogni educativi speciali. E’ la stessa cosa del bambino superdotato quando si annoia in una classe non programmata per la sua dinamica di apprendimento: psicologi e insegnanti esprimono giudizi impropri, piuttosto che analizzare i motivi della svogliatezza, dell’assenza all’attenzione di apprendimento. (…)
Renato Pigliacampo
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«Bisogna avere il coraggio di amare il Silenzio, scritto con la S maiuscola, perché dietro, tout-court, c’è tutto un mondo di persone “meravigliosamente speciali”, vale a dire bambini e adulti che non possono udire intelligibilmente la parola tramite la percezione acustica. Nel corso dei secoli, a seconda dei momenti, sono stati indicati: sordomuti, sordi, sordastri, non udenti, maleudenti, anacusici, ipoacusici, audiolesi, deboli d’udito, duri d’orecchio, cofotici. Io li chiamo semplicemente persone del Silenzio, miei fratelli: e so che, pronunciandone il nome, mi attribuisco il merito di far parte di quel mondo migliore, che procede con una marcia in più.» (Renato Pigliacampo da Pensieri e riflessioni sul Silenzio)
«La storia è testimonio dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita» (Cicerone)
«La storia non è utile perché in essa si legge il passato, ma perché vi si legge l’avvenire» (M.D’Azeglio)
«Bisogna ricordare il “passato” per costruire bene il “futuro”» (V.Ieralla) .
Per qualsiasi segnalazione, rettifica, suggerimento, aggiornamento, inserimento dei nuovi dati o del curriculum vitae e storico nel mondo dei sordi, ecc. con la documentazione comprovata, scrivere a: info@storiadeisordi.it.
"Storia dei Sordi. Di Tutto e di Tutti circa il mondo della Sordità", ideato, fondato e diretto da Franco Zatini
«Bisogna avere il coraggio di amare il Silenzio, scritto con la S maiuscola, perché dietro, tout-court, c’è tutto un mondo di persone “meravigliosamente speciali”, vale a dire bambini e adulti che non possono udire intelligibilmente la parola tramite la percezione acustica. Nel corso dei secoli, a seconda dei momenti, sono stati indicati: sordomuti, sordi, sordastri, non udenti, maleudenti, anacusici, ipoacusici, audiolesi, deboli d’udito, duri d’orecchio, cofotici. Io li chiamo semplicemente persone del Silenzio, miei fratelli: e so che, pronunciandone il nome, mi attribuisco il merito di far parte di quel mondo migliore, che procede con una marcia in più.» (Renato Pigliacampo da Pensieri e riflessioni sul Silenzio)
«La storia è testimonio dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita» (Cicerone)
«La storia non è utile perché in essa si legge il passato, ma perché vi si legge l’avvenire» (M.D’Azeglio)
«Bisogna ricordare il “passato” per costruire bene il “futuro”» (V.Ieralla) .
Per qualsiasi segnalazione, rettifica, suggerimento, aggiornamento, inserimento dei nuovi dati o del curriculum vitae e storico nel mondo dei sordi, ecc. con la documentazione comprovata, scrivere a: info@storiadeisordi.it.
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