San Filippo Smaldone, l’apostolo dei sordi, è l’ennesima dimostrazione che «Dio scrive diritto anche sulle righe storte», per le complesse vicende che lo videro protagonista sovente a dispetto dei suoi progetti. Nasce a Napoli il 27 luglio 1848, un anno cruciale per la storia italiana, primogenito di sette figli in una famiglia di agiate condizioni, nella quale la fede aveva un posto importante. Ammesso alla prima Comunione a soli dieci anni (in anticipo rispetto alle vigenti consuetudini, per volere del parroco), nella chiesina di Santa Maria della Purità, vicina a casa sua, frequenta le cosiddette “cappelle seròtine”, una specie di oratorio serale inventato da sant’Alfonso Maria de’ Liguori, in cui si faceva catechismo sotto forma di domande e risposte lasciando spazio anche agli interventi degli ascoltatori: una iniziativa di taglio popolare che piaceva alla gente.
Sui quattordici anni, Filippo riceve la Cresima e avverte chiara la vocazione al sacerdozio, ma a causa degli eventi politici (nel 1860 la monarchia borbonica, a cui la famiglia era fortemente attaccata, era stata rovesciata e l’arcivescovo di Napoli, cardinale Riario Sforza, era stato esiliato) frequenta il seminario come “esterno”.
Vestito l’abito talare nel 1863, dopo tre anni riceve la tonsura (un rito abolito nel 1972) e soltanto due dei quattro ordini minori perché giudicato «scarsissimo di talento» e perciò insufficiente a proseguire gli studi. Il cardinale gli suggerisce di farsi incardinare in un’altra diocesi «di minore difficoltà per l’esercizio del Sacro Ministero». Lui sceglie quella di Rossano Calabro, ma rimane a Napoli dove prosegue gli studi sotto la guida di uno dei maestri del celebre Almo Collegio dei Teologi, continuando un’attività a cui si era dedicato già in precedenza: l’assistenza ai sordomuti, una categoria allora particolarmente emarginata anche a livello ecclesiale (erano considerati alla stregua di “infedeli”pagani da evangelizzare). L’arcivescovo di Rossano, che lo stimava molto, gli conferì a Napoli il suddiaconato il 31 luglio 1870, il diaconato il 27 marzo 1871e lo ordinò sacerdote il 23 settembre di quello stesso anno.
Don Filippo cominciò subito il suo ministero, anche se non aveva incarichi specifici a causa del suo status di extradiocesano. Assiduo catechista nelle “cappelle seròtine”, si prestava con zelo a collaborare nelle parrocchie, specialmente in quella di Santa Caterina in Foro Magno, visitando gli ammalati negli ospedali e a domicilio, e dedicando il residuo tempo libero nei giorni feriali ai sordomuti nella Pia Casa di Santa Maria dei Monti, fondata da don Luigi Aiello e diretta, dopo la morte di questo, dal suo primo collaboratore, il sacerdote Lorenzo Apicella. Per un momento pensò anche di partire missionario, ma il suo confessore , che lo conosceva bene avendolo guidato fin dall’infanzia, gli disse che la sua “missione” era quella tra i sordomuti di Napoli. Allora don Filippo lasciò la casa paterna unendosi a un gruppo di sacerdoti e di laici che volevano dar vita ad una congregazione di Preti Salesiani, senza peraltro riuscirci. Intanto però aveva acquistato una competenza notevole nel campo dell’educazione degli audiolesi, tanto che l’Apicella lo incaricò di organizzare l’assistenza ai sordomuti nel territorio napoletano, a à Sorrento, Ischia, Amalfi e Salerno.
Nel 1884 scoppiò a Napoli una tremenda epidemia di colera che si protrasse per parecchi mesi facendo migliaia di vittime e don Filippo si mise a disposizione per assistere i ammalati, restando anch’egli contagiato in forma gravissima, tanto che i vicini di casa, pensando che sarebbe deceduto nel giro di poche ore, il mattino seguente ne annunciarono la morte, senza chiederne conferma ai famigliari. I giornali pubblicarono un necrologio con parole di ammirazione per l’opera svolta dallo Smaldone, per il quale furono celebrate anche messe di suffragio. Lui, che aveva ardentemente pregato la Madonna di Pompei, attribuì a lei la guarigione, tanto che il beato Bartolo Longo sul periodico Unione di preghiere pubblicò la notizia dopo che don Filippo era venuto nel santuario a celebrare una messa di ringraziamento.
Nella primavera del 1885 partì per Lecce per aprire, insieme all’Apicella, un istituto per sordomuti, e vi condusse anche alcune giovani che in precedenza, con il consenso di don Lorenzo, aveva cominciato a formare alla vita religiosa, accarezzando il progetto di fondare una congregazione: nel 1884, ancora convalescente dopo essere guarito dal colera, aveva messo a punto le Regole per quelle che sarebbero diventate le “Suore Salesiane dei Sacri Cuori”, che vennero approvate dal vescovo mons. Zola il 27 gennaio 1895. Nel 1889 don Apicella cedeva la casa di Lecce a don Filippo, che ne divenne direttore effettivo. Intanto, la congregazione si stava espandendo grazie anche all’affluire di vocazioni: già nel 1892 era stata fondata una casa per sordomuti a Bari, nel 1895 veniva aperta a Trepuzzi, presso Lecce, una scuola materna femminile con annesso laboratorio di ricamo, taglio e cucito, e nel 1898 le Salesiane dei Sacri Cuori approdavano a Roma.
Nuovi orizzonti di carità si aprivano alla Congregazione: Don Filippo aveva pensato anche all’infanzia abbandonata e alle fanciulle cieche, dal momento che in terra d’Otranto, su circa 700 mila abitanti, si contavano allora oltre 8000 non vedenti. Nel settembre 1902, egli acquistò l’ex monastero delle Carmelitane Scalze che diventò la Casa Madre delle sue suore. Nel 1905 Pio X conferiva allo Smaldone l’onorificenza Pro Ecclesia et Ponmtifice, a conferma della stima profonda che il santo si era guadagnato anche in Vaticano. Non gli mancarono però anche prove dure a causa del diffuso clima anticlericale fomentato dalla massoneria: a Lecce egli dovette sostenere una furibonda lotta contro un’Amministrazione comunale, avversa alla Chiesa, che cercava di laicizzare le opere educative degli istituti religiosi. All’interno poi della congregazione, una complessa vicenda portò alla destituzione e alla secessione della prima superiora generale, suor Natalia La Rocca, a causa di alcuni suoi comportamenti piuttosto ambigui che provocarono una lunga Visita Apostolica. Don Filippo sopportò tutto con ammirevole serenità, fiducioso nella Provvidenza e convinto che la sua opera era voluta dal Signore, dedicandosi come sempre anche ad un intenso ministero sacerdotale come apprezzato confessore di sacerdoti e di seminaristi, nonché direttore di diverse comunità religiose. La malattia diabetica di cui soffriva da tempo fu complicata da gravi disturbi cardiocircolatori e da una generale sclerosi, ed egli si spense santamente il 4 giugno 1923, all’età di 75 anni, dopo aver ricevuto tutti i conforti religiosi e la benedizione dell’Arcivescovo Trama, circondato da diversi sacerdoti, dalle sue suore e dai suoi sordomuti. Beatificato da Giovanni Paolo II nel 1996, è stato canonizzato da Benedetto XVI il 15 ottobre 2006.
Vestito l’abito talare nel 1863, dopo tre anni riceve la tonsura (un rito abolito nel 1972) e soltanto due dei quattro ordini minori perché giudicato «scarsissimo di talento» e perciò insufficiente a proseguire gli studi. Il cardinale gli suggerisce di farsi incardinare in un’altra diocesi «di minore difficoltà per l’esercizio del Sacro Ministero». Lui sceglie quella di Rossano Calabro, ma rimane a Napoli dove prosegue gli studi sotto la guida di uno dei maestri del celebre Almo Collegio dei Teologi, continuando un’attività a cui si era dedicato già in precedenza: l’assistenza ai sordomuti, una categoria allora particolarmente emarginata anche a livello ecclesiale (erano considerati alla stregua di “infedeli”pagani da evangelizzare). L’arcivescovo di Rossano, che lo stimava molto, gli conferì a Napoli il suddiaconato il 31 luglio 1870, il diaconato il 27 marzo 1871e lo ordinò sacerdote il 23 settembre di quello stesso anno.
Don Filippo cominciò subito il suo ministero, anche se non aveva incarichi specifici a causa del suo status di extradiocesano. Assiduo catechista nelle “cappelle seròtine”, si prestava con zelo a collaborare nelle parrocchie, specialmente in quella di Santa Caterina in Foro Magno, visitando gli ammalati negli ospedali e a domicilio, e dedicando il residuo tempo libero nei giorni feriali ai sordomuti nella Pia Casa di Santa Maria dei Monti, fondata da don Luigi Aiello e diretta, dopo la morte di questo, dal suo primo collaboratore, il sacerdote Lorenzo Apicella. Per un momento pensò anche di partire missionario, ma il suo confessore , che lo conosceva bene avendolo guidato fin dall’infanzia, gli disse che la sua “missione” era quella tra i sordomuti di Napoli. Allora don Filippo lasciò la casa paterna unendosi a un gruppo di sacerdoti e di laici che volevano dar vita ad una congregazione di Preti Salesiani, senza peraltro riuscirci. Intanto però aveva acquistato una competenza notevole nel campo dell’educazione degli audiolesi, tanto che l’Apicella lo incaricò di organizzare l’assistenza ai sordomuti nel territorio napoletano, a à Sorrento, Ischia, Amalfi e Salerno.
Nel 1884 scoppiò a Napoli una tremenda epidemia di colera che si protrasse per parecchi mesi facendo migliaia di vittime e don Filippo si mise a disposizione per assistere i ammalati, restando anch’egli contagiato in forma gravissima, tanto che i vicini di casa, pensando che sarebbe deceduto nel giro di poche ore, il mattino seguente ne annunciarono la morte, senza chiederne conferma ai famigliari. I giornali pubblicarono un necrologio con parole di ammirazione per l’opera svolta dallo Smaldone, per il quale furono celebrate anche messe di suffragio. Lui, che aveva ardentemente pregato la Madonna di Pompei, attribuì a lei la guarigione, tanto che il beato Bartolo Longo sul periodico Unione di preghiere pubblicò la notizia dopo che don Filippo era venuto nel santuario a celebrare una messa di ringraziamento.
Nella primavera del 1885 partì per Lecce per aprire, insieme all’Apicella, un istituto per sordomuti, e vi condusse anche alcune giovani che in precedenza, con il consenso di don Lorenzo, aveva cominciato a formare alla vita religiosa, accarezzando il progetto di fondare una congregazione: nel 1884, ancora convalescente dopo essere guarito dal colera, aveva messo a punto le Regole per quelle che sarebbero diventate le “Suore Salesiane dei Sacri Cuori”, che vennero approvate dal vescovo mons. Zola il 27 gennaio 1895. Nel 1889 don Apicella cedeva la casa di Lecce a don Filippo, che ne divenne direttore effettivo. Intanto, la congregazione si stava espandendo grazie anche all’affluire di vocazioni: già nel 1892 era stata fondata una casa per sordomuti a Bari, nel 1895 veniva aperta a Trepuzzi, presso Lecce, una scuola materna femminile con annesso laboratorio di ricamo, taglio e cucito, e nel 1898 le Salesiane dei Sacri Cuori approdavano a Roma.
Nuovi orizzonti di carità si aprivano alla Congregazione: Don Filippo aveva pensato anche all’infanzia abbandonata e alle fanciulle cieche, dal momento che in terra d’Otranto, su circa 700 mila abitanti, si contavano allora oltre 8000 non vedenti. Nel settembre 1902, egli acquistò l’ex monastero delle Carmelitane Scalze che diventò la Casa Madre delle sue suore. Nel 1905 Pio X conferiva allo Smaldone l’onorificenza Pro Ecclesia et Ponmtifice, a conferma della stima profonda che il santo si era guadagnato anche in Vaticano. Non gli mancarono però anche prove dure a causa del diffuso clima anticlericale fomentato dalla massoneria: a Lecce egli dovette sostenere una furibonda lotta contro un’Amministrazione comunale, avversa alla Chiesa, che cercava di laicizzare le opere educative degli istituti religiosi. All’interno poi della congregazione, una complessa vicenda portò alla destituzione e alla secessione della prima superiora generale, suor Natalia La Rocca, a causa di alcuni suoi comportamenti piuttosto ambigui che provocarono una lunga Visita Apostolica. Don Filippo sopportò tutto con ammirevole serenità, fiducioso nella Provvidenza e convinto che la sua opera era voluta dal Signore, dedicandosi come sempre anche ad un intenso ministero sacerdotale come apprezzato confessore di sacerdoti e di seminaristi, nonché direttore di diverse comunità religiose. La malattia diabetica di cui soffriva da tempo fu complicata da gravi disturbi cardiocircolatori e da una generale sclerosi, ed egli si spense santamente il 4 giugno 1923, all’età di 75 anni, dopo aver ricevuto tutti i conforti religiosi e la benedizione dell’Arcivescovo Trama, circondato da diversi sacerdoti, dalle sue suore e dai suoi sordomuti. Beatificato da Giovanni Paolo II nel 1996, è stato canonizzato da Benedetto XVI il 15 ottobre 2006.
di Angelo Montonati
da Famiglia Cristiana 10 dicembre 2012